Bollettino ADAPT 14 dicembre 2020, n. 46
Da anni il dibattito accademico sta affrontando il tema della nascita di nuove figure professionali che non rientrano nel gruppo delle cosiddette professioni organizzate in ordini e collegi e per tale ragione vengono definite, in opposizione a queste ultime, professioni non regolamentate. Una definizione di questo gruppo professionale è stata fornita dal CNEL, nel V rapporto di monitoraggio sulle professioni non regolamentate (2005), dove si può leggere che l’espressione “professione non regolamentata” “riguarda la condizione di chi svolge una professione il cui esercizio richiede conoscenze intellettuali e tecniche molto elevate, senza che però sia necessario, dal punto di vista legale, il possesso di un titolo di studio determinato; o comunque, senza che sia necessaria l’iscrizione ad un Ordine o Albo”. Anche il sistema legislativo, con la legge n. 4 del 2013, è intervenuto a disciplinare le professioni non organizzate in ordini e collegi, delineando un primo inquadramento giuridico di tali professioni nel nostro ordinamento.
In questo gruppo, seppur identificato con un’unica etichetta denominativa, si riscontra una forte eterogeneità dettata da una pluralità di fattori e condizioni distintive (forma giuridica dell’esercizio della attività professionale, livelli di qualificazione, competenze, bisogni, ecc.). Al di là della molteplicità degli elementi differenziativi ciò che accomuna i profili professionali è la condivisione di una specifica professionalità, di un corpo di conoscenze, competenze e pratiche lavorative in mancanza però di una chiara definizione del perimetro della propria attività professionale. Tale situazione determina una sostanziale difficoltà di riconoscimento della loro professionalità da parte di altri professionisti e utenti finali e altre criticità sul piano della regolazione dello specifico mercato di riferimento. In aggiunta lo stesso processo di costruzione di queste nuove figure professionali non corrisponde più esattamente a quello identificato dai sociologi delle professioni a partire dalle riflessioni di Wilensky negli anni ’60 del Novecento e poi ripreso in Italia da W. Tousijn, secondo i quali esiste un percorso a tappe (identificazione e condivisione di una base cognitiva; nascita e diffusione di scuole o “agenzie” di formazione alla professione; nascita e affermazione di associazioni professionali; riconoscimento e protezione statale) attraverso il quale i professionisti raggiungono lo status professionale e un riconoscimento pubblico.
È stato rilevato (si veda L. Casano, Contributo all’analisi giuridica dei mercati transizionali del lavoro, Adapt University Press, 2020) come l’individuazione di un efficace modello di regolazione delle cosiddette “nuove professioni” meriti particolare attenzione, non solo per la rilevanza numerica di questo gruppo professionale in costante crescita, ma anche perché le nuove professioni sembrano idonee a rappresentare in termini descrittivi e qualitativi i nuovi modi di lavorare.
In quest’ottica acquistano rilevanza temi finora poco approfonditi dalla letteratura di riferimento e dal dibattito pubblico, politico e istituzionale, quali le modalità di formazione, sviluppo e riconoscimento delle capacità professionali. Infatti, per i nuovi professionisti, e in generale per una quota crescente di lavoratori, accomunati dallo svolgimento di prestazioni con un contenuto professionale altamente qualificato e dal fatto di affrontare molteplici transizioni occupazionali nel corso della carriera lavorativa, il riconoscimento e la valorizzazione delle proprie capacità professionali diventano cruciali in quanto identificative e rappresentative della loro professionalità e del loro lavoro.
Come evidenziato da L. Casano esistono molteplici sistemi di qualificazione e riconoscimento delle capacità professionali, non compiutamente integrati tra di loro (il sistema pubblico di certificazione delle competenze maturate in contesti formali, non formali, informali; il sistema delle certificazioni di conformità a standard tecnici UNI, che nel nostro paese attualmente conta numerose norme sulle attività professionali non regolamentate; i sistemi di classificazione e inquadramento della contrattazione collettiva che da sempre svolgono una funzione di regolazione del mercato interno ed esterno all’azienda). Di fronte a tale molteplicità è urgente interrogarsi su come creare una infrastruttura idonea a valorizzare e accrescere le “capacità transizionali” di tutti i lavoratori a partire dalla trasferibilità e dal riconoscimento della propria professionalità nelle molteplici transizioni professionali e biografiche che i nuovi professionisti sperimenteranno nell’arco della loro vita professionale.
È in questo frangente che emerge sotto una nuova luce la valenza strategica del “sistema dell’apprendistato”, osservando che i sistemi di riconoscimento della capacità professionali, anche al loro attuale stato embrionale e di imperfezione, delineano evidentemente dei collegamenti e una assonanza con il sistema dell’apprendistato. Per chiarire meglio l’affermazione occorre da subito precisare che con l’espressione “sistema dell’apprendistato” non si fa qui riferimento all’apprendistato come mero strumento contrattuale, per quanto strategico ed essenziale ai fini dell’inserimento occupazionale dei giovani nel mercato del lavoro. Ci si riferisce invece all’apprendistato come sistema per la costruzione di mestieri e professionalità, connotato da una precisa infrastruttura giuridico-istituzionale funzionale all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Tra gli strumenti che compongono questa infrastruttura, ma che non sono specifici soltanto di questo istituto, ritroviamo ovviamente un ruolo di primo piano alla formazione e all’accompagnamento professionale, l’obbligo della registrazione della formazione e della sua messa in trasparenza attraverso il fascicolo elettronico del lavoratore, la certificazione delle competenze sulla base di standard riconosciuti nel mercato di riferimento e inseriti nei repertori pubblici (i repertori regionali e l’atlante del lavoro e delle qualificazioni). Strumenti oggi ancora connotati da criticità e in alcuni casi non compiutamente realizzati, ma che consentirebbero al sistema dell’apprendistato di ricoprire un ruolo fondamentale per la regolazione dei moderni e complessi mercati del lavoro
È evidente come la creazione di una infrastruttura unitaria per il riconoscimento delle capacità professionali di tutti i lavoratori si ponga in continuità con il sistema dell’apprendistato e con precisi elementi, sostanziali e di visione, che lo connotano, partendo dai quali (come era del resto nelle intenzioni del Legislatore del Testo Unico dell’Apprendistato del 2011) si potrebbe iniziare a costruire l’integrazione sistemica di tutti i sistemi di riconoscimento delle capacità professionali. Si potrebbe per esempio partire da una estensione, oltre i confini aziendali, del riconoscimento delle competenze acquisite nelle precedenti esperienze professionali attraverso la registrazione della formazione e delle qualifiche professionali all’interno del fascicolo elettronico del lavoratore che diverrebbe il passaporto del lavoratore per potersi muovere agevolmente all’interno dei numerosi mercati del lavoro esistenti. Ciò consentirebbe di offrire una importante risposta alle esigenze di una quota sempre più ampia di lavoratori portatori di nuovi interessi individuali e collettivi, tra i quali è centrale il riconoscimento, la valorizzazione e la tutela della identità professionale. In questo modo infatti, venendo meno per questi professionisti i sistemi di tutela tipici dei lavoratori subordinati, il riconoscimento e la valorizzazione della loro professionalità attraverso una infrastruttura simile a quella dell’apprendistato, andrebbe a edificare un nuovo sistema di protezione.
È in conclusione a questa breve riflessione che si rileva l’importanza, a livello sistemico e di analisi, di ripartire dai processi di costruzione sociale delle professionalità, valorizzando alcuni attori, strumenti e livelli di regolazione, e privilegiando, anche nella ricerca su questi temi, un approccio empirico di ricostruzione dei diversi strumenti e meccanismi istituzionali che concorrono alla costruzione e alla valorizzazione delle singole identità professionali.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena